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All’età di diciannove anni qualcosa accadde nella mia testa.

L’effetto fu quello di una stanza illuminata da una luce artificiale quando salta la corrente.

Il buio mi avvolse.

Ciò che fino ad allora era stato normale cambiò aspetto. Stare con gli altri mi faceva sentire inadatto.

Avevo preso a scivolare verso il basso.

La caduta era stata lenta, ma progressiva e inesorabile. Trascorrevo le giornate chiuso in camera con i libri, il giradischi e le poesie con le quali davo voce alle mie fobie. Il mondo là fuori era quello di sempre, ma io non sapevo più farne parte.

È così che la depressione si è presa parte della mia gioventù.

Attorno a me vedevo solo volti scettici.

Non è facile comprendere qualcosa che non si vede.

Non è facile accettare che un bel ragazzo, con una vita davanti a sé, senza un motivo apparente si allontani dal mondo.

Ho attraversato momenti difficili durante i quali rialzare la testa sembrava impossibile.

Mi salvarono i miei genitori. Ciò che mi stava portando via era per loro difficile da comprendere, ma il grande amore li portò a mettersi in discussione e rivolgersi a un medico, uno psicoanalista.

Iniziò così l’avventura che durò oltre dieci anni. Ciò che sono lo devo a quel cammino, all’essere stato all’inferno e averne fatto ritorno.

I primi anni furono complicati.

Mettersi in discussione non era semplice.

Il dolore, anziché diminuire, cresceva a dismisura.

Mi sentivo vulnerabile come un uovo al cospetto di un gigantesco martello.

Compresi che la depressione non mi aveva scelto per caso.

Le risposte erano dentro di me. C’erano ferite profonde nell’anima. Avevano leso organi vitali. Pur ferito a morte avevo continuato a vivere.

Il bambino era diventato adolescente e poi ragazzo. Privo di forze ero infine collassato a terra.

La psicoanalisi è stata la mia palestra interiore. Sono entrato debole e presuntuoso, ne sono uscito forte e umile.

In mezzo tanto sudore e dolore.

L’emorragia si è fermata ma a volte sento dolore. Le ferite ci sono sempre, non se ne andranno mai. Sono lì per ricordarmi ciò che è stato.

Le osservo e le accarezzo. Parlano di me.

Senza di loro non sarei ciò che sono.

 


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