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La paura ha cambiato forme e sembianze nel corso della mia vita.

Da bambino era rappresentata dall’eventualità che i miei genitori morissero e mi lasciassero solo.

Al tempo in cui frequentavo la quinta elementare, il padre di un mio compagno morì durante una battuta di caccia.

Nella mente porto ancora impresse delle diapositive: il volto contrito del maestro, la madre con gli occhi rossi, ferma sulla porta, il mio compagno che si guardava attorno con aria smarrita.

Durante l’adolescenza la paura ha assunto il volto dell’inadeguatezza, del non sentirsi come gli altri.

Ero obeso, scansato dalle ragazze e deriso dai ragazzi.

La quotidianità era fatta di solitudine.

È stato un tempo buio, ricco di dolore e povero di gioia.

Dopo i vent’anni la paura indossò l’abito dell’ignoto.

Ero una barca persa in mezzo al mare, incapace di trovare una direzione. Attorno solo acqua e onde.

Non sapevo dove andare.

Ho scoperto allora che l’infinito spaventa più del limite.

Il futuro era nelle mie mani, ma non sapevo cosa farne.

In seguito lo afferrai quel futuro. Divenni un imprenditore.

Gli inizi sono stati duri. Venivo dal nulla, figlio di operai.

Per anni è stato come camminare sul filo senza la rete sotto. Un errore e sarebbe stata la fine.

Fallire, perdere tutto e non avere la forza per ricominciare: questa era la mia paura più grande.

Oggi non ho paura. Oggi sono terrorizzato.

Il mostro è la Morte, ma non lei in quanto tale. È il terrore assoluto che provo all’idea di lasciare soli i miei figli. Sono troppo piccoli per perdere il padre.

La mia sofferenza non mi spaventa. È venuta spesso a farmi visita durante la vita.

Il dolore che potrebbero provare i miei figli, quello sì, mi devasta.

Non ho armi per combattere il destino.

Posso solo vivere la vita giorno per giorno, proprio come un equilibrista che, passo dopo passo, cerca di arrivare alla fine del suo percorso.


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