by admin
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Il mio maestro si chiamava Duilio Matteoni.
Era stato deportato in un campo di concentramento durante la seconda guerra mondiale.
Un giorno ci raccontò di come il caso gli salvò la vita.
I tedeschi avevano fatto incolonnare i prigionieri in due file.
Lui, senza un motivo, decise di cambiare fila.
Questo gli salvò la vita.
I prigionieri della fila precedente furono mandati alle camere a gas, lui e gli altri a lavorare nei campi.
Il mio maestro non insegnava: lui stesso era esempio e insegnamento.
Con la sua fisicità, il vestire e il comportarsi, trasmetteva un modo di vivere fatto di impegno e purezza d’animo.
I capelli grigi pettinati all’indietro, il portamento eretto, la cravatta indossata sotto il maglione, il parlare calmo, erano lo specchio di ciò che aveva dentro: un animo pulito, preciso e autoritario.
La mia generazione è quella che si metteva in piedi quando il maestro entrava in classe, che alzava la mano quando doveva andare in bagno, che si portava pane e marmellata per merenda, che foderava i libri perché dovevano durare cinque anni, che tornava a casa a piedi perché nessuno veniva a prenderti all’uscita di scuola.
Il maestro non aveva avuto figli.
La moglie, anch’ella maestra elementare, era ipovedente e fu costretta alla pensione anticipata.
È rimasto nella mia vita fino alla sua morte.
Mia mamma vendeva frutta e verdura al mercato coperto e loro erano suoi clienti.
Dagli undici anni in poi, ho trascorso le mie vacanze estive al lavoro dietro il banco.
Lo ricordo venire a fare la spesa, insieme alla moglie, mano nella mano come due fidanzatini. Il sorriso come una carezza, la voce calma e quell’aura di pace che si portava dietro.
Ho sempre pensato che il dolore che aveva vissuto, l’immensa crudeltà del campo di concentramento, gli abbia spianato la vita futura. Perché quando conosci il buio degli abissi, il resto è solo luce.
Riposa insieme alla moglie, uniti anche nella tomba.
Quando posso vado a trovarlo.
La foto di entrambi, abbracciati e sorridenti, è come un cucchiaio di miele quando ti brucia la gola: non fa miracoli, ma ti fa sentire meglio.
E mi capita spesso di avere bisogno di quel suo sorriso.
Claudio Colombi. Autore del libro “La Bibbia di Kolbrin“.
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