by admin
Share
Ieri ho incontrato un conoscente al quale è appena morto il cane.
Il suo dolore ha riaperto in me una ferita mai rimarginata.
Sono un uomo particolare.
Lo ero anche da bambino e adolescente.
Al tempo, il mio amico si chiamava “Cico”, un cocker nero trovato per strada.
Eravamo inseparabili.
Trascorrevo le giornate con lui.
Un pomeriggio, eravamo al lago a pescare. A lui piaceva sdraiarsi dietro me facendomi da cuscino.
Poggiavo la testa sulla sua schiena. La canna appoggiata alla forcella improvvisata e il galleggiante con la puntina rossa a osservarci.
Sentii un odore acre di feci, mi tirai su e lo guardai:
– Che c’è Cico? Stai male? –
Si rizzò. Aveva lo sguardo triste. Spento. Cadde in avanti, ruzzolò sulla riva e cadde in acqua.
Rimasi pietrificato.
Urlai il suo nome non so quante volte, sperando di vederlo alzarsi e correre da me. Ma così non fu.
Piansi. A lungo. Non so quanto.
Non ebbi il coraggio di toccarlo, di tirarlo su, di abbracciarlo.
Corsi a casa. Ricordo come fosse ieri il tragitto lungo le strade di campagna. Ricordo le lacrime e il dolore lancinante. Ricordo mia madre spaventata quando mi vide, immaginando chissà quali tragedie.
Per me quella era una grande tragedia.
La sera mio padre, tornato dal lavoro, andò a recuperare Cico.
Mi disse di averlo trovato sulla riva dove lo avevo lasciato.
Era morto di infarto.
Non aveva sofferto, disse.
Portò con sé la pala e lo seppellì nei pressi del lago. Io non ero presente.
Cico è stato il mio amico amatissimo negli anni difficili dell’adolescenza e io non ho saputo stargli accanto mentre moriva, non l’ho tenuto fra le mie braccia.
Lui lo avrebbe fatto per me.
Scusa amico mio.
Quel giorno è ancora in me, e sempre lo sarà.
Claudio Colombi. Autore del libro “La Bibbia di Kolbrin”